Giorni fa un lettore mi ha scritto chiedendomi alcuni consigli su come creare dei personaggi interessanti, perciò ho deciso di realizzare questa breve guida sperando che sia utile a quanti si pongono le stesse domande!
La regola numero zero

I personaggi sono i vostri attori
Prima di tutto, ricordate che i personaggi sono gli attori della vostra storia. Perciò fate sì che siano degli ottimi attori, perché nessuno vuole vedere un brutto film. I lettori si sono presi la briga di aprire il vostro manoscritto, e ciò che ora istintivamente cercano sono proprio loro, i personaggi. Si domandano: “Chi sono? Cosa vogliono? Che faranno per risolvere i loro problemi?”. Vogliono morbosamente amarli, odiarli e impicciarsi di ogni aspetto della loro vita.
Dategli modo di farlo. I personaggi di un qualsiasi racconto devono suscitare delle emozioni, non importa quali: un antagonista cinico e vile può fare colpo quanto un protagonista nobile e simpatico. L’importante non è quale ruolo gli avete assegnato, ma quanto bene glielo fate interpretare. Il protagonista deve suscitare un senso di simpatia e affinità. Un cattivo dovrebbe suscitare riprovazione ma essere comunque dotato di motivazioni credibili e di un suo fascino. I personaggi di contorno, a loro volta, devono possedere una loro personalità e svolgere un ruolo importante nell’economia della storia. Se nell’insieme delle loro caratteristiche i personaggi riescono a creare un feeling col lettore siete già a metà del lavoro; perfino un libro dalla trama mediocre può essere salvato da personaggi interessanti!
Vediamo, ora, in che modo creare questa affinità per rendere i nostri personaggi vivi e interessanti anche per gli altri, cioè come caratterizzarli.
1. Descrivere
Anche se lo metto come primo punto, in realtà descrivere un personaggio non è sempre un passo necessario. La letteratura è piena di personaggi non descritti che sono comunque memorabili; l’importante è far risaltare le loro caratteristiche interiori. Ma assumendo che come scrittori prendiate in considerazione l’aspetto fisico dei vostri personaggi o che questo rivesta una qualche importanza nel caratterizzarli, non ha senso scegliere l’anonimato: il lettore potrà immaginare meglio il personaggio se il suo aspetto viene descritto!
Questa descrizione non deve per forza arrivare puntuale nel momento in cui il personaggio viene presentato, può anche essere fornita gradualmente, ma è bene che entro poche pagine dalla sua introduzione siano date al lettore le informazioni necessarie affinché possa crearsene una raffigurazione mentale. Ricordate che un personaggio non è un manichino e avrà sicuramente qualche caratteristica particolare che potete usare per definirlo. Tali caratteristiche possono includere i lineamenti, il fisico, i vestiti, ma anche l’atteggiamento, i gesti, l’odore o perfino l’ambiente che lo circonda. Se voglio descrivere un fabbro muscoloso e con le mani annerite, sarà utile aggiungere una descrizione della sua fucina affollata di ferro battuto, pregna di odore di carbone e olio. Questi elementi aggiungono profondità al personaggio del fabbro e contribuiscono a caratterizzarlo nell’ambiente che gli è proprio, cioè l’ambiente diventa parte integrante del personaggio stesso.

Niente da dichiarare?
Non è necessario che la descrizione assomigli alla lettura di una carta d’identità; anzi, meglio evitarlo! A volte pochi elementi salienti, o addirittura un singolo memorabile dettaglio, possono bastare per imprimere a fuoco quel personaggio nella mente del lettore. L’importante è esprimere, anche con poche pennellate sapienti, l’essenza di quel personaggio, comunicare la sensazione che trasmette la sua presenza. Un personaggio potrebbe anche essere descritto attraverso un odore, o un suono. Marylin Monroe potrebbe essere un aroma di Chanel numero 5, mentre un serial killer potrebbe diventare una gamba di ferro che cigola lungo il corridoio. E se vi chiedessi di descrivere al volo la Piccola Fiammiferaia? Di sicuro l’unica cosa che vi verrebbe in mente su due piedi sarebbero i suoi fiammiferi.
Meglio ancora se la descrizione è presentata in modo interessante. Ad esempio, dire che Hagrid di Harry Potter è altissimo e ha la barba è corretto, ma insipido; parlare di un colosso con piccoli occhi gentili sprofondati in una zazzera nera, è tutta un’altra rima.

Tu, burbero maschione!
2. Mostrare il comportamento
Non dite in faccia al lettore com’è il carattere del personaggio. Non c’è niente, niente di meno interessante che sentirsi riferire che Tizio è generoso e sincero, o che Caio è rozzo e violento, o che Sempronio è un laido approfittatore bugiardo. E’ fondamentale che i personaggi raccontino se stessi all’interno della storia attraverso le proprie azioni.
Un personaggio, come una persona vera, rivela il suo modo di essere attraverso ciò che fa. Nella vita reale le persone non girano con un cartello attaccato al collo che dice “sono così”. Non c’è approccio più sbagliato per uno scrittore che presentare un personaggio e imboccare subito al lettore qual è il suo carattere!
Piuttosto, ponetevi delle domande su come reagirebbe il personaggio di fronte alle situazioni. Se viene messo di fronte a una difficoltà, la affronterà? Scapperà? Cercherà di trarne vantaggio? Reagirà in modo del tutto imprevedibile?

Io scapperei. Lui, mi sa di no.
Queste reazioni parleranno del suo carattere senza bisogno che lo facciate voi. Il lettore a quel punto ricostruirà da solo il suo identikit grazie a un processo deduttivo, come un investigatore che cerca di capire il carattere del suo sospettato. Se pensate che il lettore vada imboccato come un poppante perché non ha voglia di sforzarsi, lasciate che ve lo dica chiaramente: state commettendo un errore madornale. La fantomatica pigrizia del lettore svanisce quando l’autore sa stimolare la sua immaginazione. Il lettore non desidera altro, e trarrà grande piacere dallo sbirciare nella psiche dei personaggi, perché tutti noi proviamo un bisogno istintivo di scoprire ciò che non sappiamo. Se farete davvero bene il vostro lavoro, il lettore arriverà a capire il modo di ragionare dei vostri personaggi al punto che si aspetterà le loro reazioni, le anticiperà, e quando vedrà che aveva ragione si sentirà premiato per lo sforzo che ha fatto. Sentirà di conoscere i personaggi al punto che diventeranno suoi amici.
Ricordate che il lettore difficilmente sbaglia in questo processo. La sua mente lavora sulle informazioni che voi gli date. Se gli date le informazioni giuste saprà dedurre perfettamente se il personaggio è gentile o crudele o vigliacco o ingenuo. Se invece siete voi a sbagliare, voi a caratterizzare il personaggio in un modo e poi a tradire quella caratterizzazione facendo fare o dire al personaggio qualcosa che non è da lui, otterrete solo di confondere il lettore, che si sentirà ingannato e arriverà a capire che siete voi a essere incerti riguardo al suo carattere. Perciò, come spiegherò meglio più avanti, ponete molta attenzione alla coerenza dei vostri personaggi.
3. Voce propria
Immaginate di chiudere in una stanza completamente buia una bimbetta di sei anni, un mafioso violento, un’autorità religiosa e un vecchio lupo di mare. Indipendentemente dal fatto che non vedete l’aspetto di questi personaggi, ognuno di essi sarà perfettamente riconoscibile dal modo in cui si esprime.
Ognuno di noi parla con la propria voce. Questo modo di esprimerci ci definisce agli occhi degli altri e rivela chi siamo. Parlando con qualcuno si possono capire moltissime cose su di lui: la provenienza, il livello di istruzione, le sue idee, il suo carattere. Le sottili inflessioni della voce e del linguaggio del corpo rivelano altre informazioni. Tutti noi interpretiamo questo linguaggio in modo automatico per capire chi abbiamo davanti; uno scrittore deve arrivare a farlo proprio per caratterizzare efficacemente i propri personaggi.
In un romanzo, lo strumento a disposizione del narratore per dare queste informazioni è il dialogo. I personaggi devono parlare con voci proprie. Un camionista non potrà esprimersi come una suora o un professore della Bocconi. Se facessimo parlare tra loro questi personaggi per appena qualche riga senza dire chi sono, non avremmo difficoltà a distinguerli.

Nei dialoghi i personaggi mostrano il proprio modo di essere.
Questa nozione può sembrare cosa ovvia, eppure capita spesso di leggere testi di esordienti o addirittura di autori pubblicati in cui si evidenzia proprio una mancanza di personaggi con voci proprie. I personaggi “generici”, cioè le comparse, sono quelli che soffrono più spesso di questo problema; del resto perché sprecarsi a caratterizzare un personaggio che magari appare solo per un paio di pagine? E’ un modo di ragionare sbagliatissimo, perché appiattisce il mondo che gira intorno ai protagonisti, gli fa perdere credibilità. Perfino l’impiegatuccio spocchioso allo sportello di un ufficio che gode a rovinare la giornata del protagonista con la burocrazia può risultare un personaggio incredibile se le sue due battute sono ben scelte.
Lo strumento della voce propria diventa un’arma potente a vostra disposizione specialmente quando vi trovate a dover caratterizzare personaggi che possono apparire simili tra loro, cioè personaggi dove le differenze non sono scontate come negli esempi di cui sopra.

Il poliziotto buono e il poliziotto cattivo.
Prendiamo la classica situazione del poliziotto buono e del poliziotto cattivo. Come si fa a capire chi interpreta ciascun ruolo? Non ce l’hanno mica scritto in fronte. Però attraverso il dialogo si può comunicare facilmente questa informazione, basta che uno dei due sia duro e inquisitorio, mentre l’altro si mostri comprensivo e cerchi di offrire delle scappatoie al sospettato. Oppure, immaginiamo tre preti che parlano tra loro degli episodi di pedofilia nella chiesa: tre personaggi che sembrano simili, eppure uno potrebbe mostrarsi intransigente perché crede nella giustizia, un altro magari sarà scettico, mentre il terzo potrebbe insistere sul perdono, salvo poi scoprire che ha la coscienza sporca a sua volta e il suo essere conciliante era solo un modo per lenire il proprio senso di colpa (meno scontato sarebbe scoprire però che il colpevole era uno degli altri due, magari proprio quello intransigente). A questo punto il lettore capirà anche un’altra cosa, ovvero che uno di questi personaggi è un ipocrita, e glielo avremo detto grazie a una rivelazione che contraddice intenzionalmente il dialogo stesso. In altre parole, il dialogo qui ha spaccato in due la mela, ha caratterizzato un personaggio come profondamente ipocrita mille volte meglio di quanto avremmo potuto fare noi riferendo questa informazione, perché semplicemente il personaggio ha smascherato se stesso.
4. Recitazione
Il dialogo è in realtà solo un aspetto di un elemento più ampio che alcuni autori tralasciano, cioè l’insieme di atteggiamenti che formano il linguaggio del corpo del personaggio, in altre parole la sua recitazione.

Non sottovalutate l’importanza di far recitare i vostri personaggi.
Il concetto di “recitazione” in un libro sembra un po’ alieno, come si fa a far “recitare” dei personaggi che non vediamo? Eppure non è affatto così, è solo che questo concetto è meglio compreso e applicato da chi proviene da una formazione più vicina alle arti visive che a quelle letterarie. Per meglio dire, ho notato che gli autori che hanno un gusto molto letterario più spesso tralasciano l’elemento recitativo nel loro modo di scrivere, mentre gli autori che vengono dalle arti visive tendono maggiormente a enfatizzarlo.
Voglio dirlo senza mezzi termini, secondo me questo è un vantaggio. Oggi le arti visive fanno parte del nostro linguaggio quotidiano molto di più di una volta. Non solo la pittura o le arti grafiche, ma il cinema, la televisione, il fumetto ci hanno abituato a una gran quantità di stimoli visivi che hanno reso sorpassati gli stili di scrittura più classici, di cui è figlia la narrazione raccontata. La narrazione mostrata prevede invece che la “telecamera” sia nella scena che viviamo e questo significa che i personaggi non possono evitare di recitare.
“Recitare” significa mostrare in che modo si esprime la presenza fisica dei personaggi nella narrazione e durante i dialoghi. Particolarmente nei dialoghi. Un personaggio che dialoga, infatti, non starà impalato a leggere le battute che gli vengono date dallo scrittore; si muoverà, si gratterà il mento, accenderà una sigaretta, cambierà la marcia dell’auto. Anche attraverso questi gesti si può comunicare con il lettore fornendogli moltissime informazioni sul carattere del personaggio. Un personaggio goloso e maleducato parlerà a bocca piena sputacchiando pezzi del suo panino, mentre uno sobrio non si sognerà nemmeno di rispondere a una domanda senza prima essersi pulito la bocca col tovagliolo.

Vittorio Giardino – Cairo
Osservate la sottile ma decisa recitazione dei personaggi in questa illustrazione di Vittorio Giardino. Lui comunica curiosità, lei una riservata sensualità. Vi sembra quasi di vedere lui che sta per girarsi e chiederle qualcosa. Ora, immaginate di dover descrivere in un libro la stessa scena. Non potreste limitarvi a dire che lui si gira e la guarda; perché ciò sia importante, dovreste soffermarvi sul gesto della donna, che attira l’attenzione aggiustandosi il cappello, e sugli sguardi che si incrociano per un attimo. Un fotogramma ben recitato può bastare per inventare una storia.
C’è un’espressione particolarmente odiata da scrittori e lettori che spesso viene castigata nelle recensioni e che occorre sempre durante i dialoghi scritti dagli autori meno esperti: “Fece una pausa”. Chi parla, non “fa una pausa”. Si schiarisce la voce, guarda fuori dalla finestra, si inumidisce le labbra. La “pausa” è il modo, forzato, con cui lo scrittore dice in faccia al lettore che il suo personaggio sta interrompendosi per un attimo senza disturbarsi a inventare qualcosa. E’ un uscire dalla narrazione per scrivere una riga di sceneggiatura: “Qui fa una pausa, non so cosa stia facendo, caro lettore, inventalo tu”. Fate attenzione a scivoloni del genere e non trascurate le pause; anch’esse possono dire molto se ben sfruttate, ad esempio se lei sospira e si morde le labbra prima di chiedere a lui di uscire, ecco che avete usato un tempo morto per mostrare un’insicurezza, cioè avete rivelato qualcosa del personaggio senza bisogno di dirlo.
Non dimenticate, se necessario, di sottolineare gesti involontari, tic, abitudini, modi di dire propri del personaggio. Questi elementi contribuiranno a renderlo unico. Il celebre “Giuda Ballerino” di Dylan Dog è un marchio di fabbrica, solo lui può dirlo e quando uno lo sente pensa subito a quell’icona. Anche i segni particolari sono fondamentali: la linea della vita incisa con un rasoio sulla mano di Corto Maltese da lui stesso, o la cicatrice a forma di fulmine di Harry Potter, sono segni distintivi che rendono unici quei personaggi.
5. Dare motivazioni
Quanto detto finora serve a poco se il personaggio non ha motivazioni credibili che lo spingono. Ricordate che la motivazione produce l’azione. Senza motivazioni i personaggi non hanno stimoli ad agire e la storia non avanza. Il povero Frodo Baggins si sarebbe risparmiato volentieri di scarpinare fino al Monte Fato per distruggere l’anello di Sauron se da questo non fosse dipeso il fato di tutta la Terra di Mezzo!

Spinarelli! E ora?
La motivazione è un altro elemento fondamentale che, nonostante la sua assoluta necessità, a volte viene trascurato. Quando guardate un film o leggete un libro e vi chiedete “che diavolo sta succedendo?” o “perché fanno questo?”, è perché le motivazioni che spingono storia e personaggi non risultano chiare, e anche senza aver riesaminato a mente fredda la trama, percepite questa lacuna a livello inconscio. Occorrono motivazioni potenti per smuovere le persone. Tale motivazione non deve essere necessariamente uno scopo universale, elevato o nobile come salvare il mondo ma semplicemente qualcosa che sta a cuore al personaggio. Una bambina che decide di sostenere una prova di coraggio come dare un bacio a un ranocchio per entrare in un gruppo di amici maschi è già un’azione che deriva da una motivazione potente: la bambina vuole sentirsi accettata ed è disposta a rischiare. Meglio ancora se i rospi le fanno orrore, perché il rischio diventa più vero, per superare la prova deve essere disposta a varcare la sua zona di pericolo interiore. Di fronte a scelte simili capiamo quanto sono forti le motivazioni dei personaggi; sono i momenti in cui capiamo chi siamo veramente.
Non importa quanto la vicenda possa essere umile. Il Segreto del Nimh, un classico di animazione del 1982, parla semplicemente di una famiglia di topolini che vogliono sfuggire al trattore di un contadino che lavora il suo campo, eppure grazie a questo presupposto apparentemente banale ci viene narrata la toccante storia di una madre coraggiosa che lotta contro avversità inimmaginabili per salvare il figlio malato; nulla conta che i protagonisti siano solo topolini di campagna, perché la storia riesce a trasmettere un valore universale, l’amore di una madre per suo figlio che la rende disposta a tutto.

La signora Brisby: più agile di Lara Croft, più impavida della tizia di Silent Hill che cerca la figlia.
Le motivazioni che spingono un personaggio possono non essere subito evidenti. La scelta di mantenere il mistero su di esse può risultare altrettanto interessante. Disseminare il racconto di indizi, per far sì che il lettore le intuisca, e poi rivelarle al momento opportuno può diventare la chiave di volta di un racconto appassionante. Viceversa, una motivazione chiara fin dall’inizio può essere la spinta ad iniziare un viaggio, reale o figurato, e diventare essa stessa la premessa di una storia. Peter che vuole liberarsi della Spada dai Sette Occhi e tornare sulla Terra per riabbracciare sua nipote Amanda è una motivazione potente che da’ il via all’intera saga di Darkwing. 😉
6. Stabilire il conflitto di base
Tutti vogliamo qualcosa. Ma non sempre possiamo averlo. La nostra volontà può cozzare con la realtà dei fatti, con degli eventi imprevisti, o con altre volontà che vogliono cose diverse. Essere innamorati una persona legata a qualcuno che ci è caro è un classico esempio di conflitto di base.
Le storie hanno bisogno di conflitti, ma questo rientra nella costruzione della trama, argomento che esula dallo scopo di questo articolo. Va detto però che i conflitti della trama spesso diventano i conflitti interiori dei personaggi, o viceversa. Batman salverà dalla follia del Joker la donna che ama o il procuratore che sta ripulendo Gotham City dai criminali? Sulla risoluzione del suo conflitto interiore si gioca una svolta fondamentale della trama de Il Cavaliere Oscuro: se muore lei l’eroe ne sarà devastato personalmente, se muore l’altro la città che egli lotta per salvare sprofonderà nel caos.

“Perché… perché… perché non è saltata in aria Katie Holmes?!?!”
Come dicevo prima il conflitto di base è legato alle motivazioni del personaggio. Messi di fronte a scelte difficili, i personaggi rivelano il loro carattere più intimo, cioè mostrano chi sono veramente. E noi che li seguiamo, ci domandiamo cosa faremmo al posto loro; è in base al confronto col nostro sistema di valori che li giudicheremo coraggiosi, cattivi, codardi o sciocchi. Tali conflitti ci toccano non tanto perché loro devono affrontarli, ma perché noi ci identifichiamo con essi, li viviamo attraverso di loro. Per questo nessuno è interessato a un protagonista che non viene mai messo in discussione: la sua sicurezza ci impedisce di vederlo messo alla prova, quindi, non possiamo mettere alla prova neanche noi stessi.
Un esempio di serie che a parer mio ha avuto grande successo perché ha posto alla base del protagonista un conflitto interessante è Death Note. In questo manga/anime un ragazzo comune ma dotato di grande intelligenza, Light Yagami, entra in possesso di un quaderno in grado di uccidere qualunque persona il cui nome venga scritto sul quaderno stesso. Light decide di usarlo per creare un mondo perfetto, giustiziando chiunque a suo avviso sia “cattivo”, finendo per trasformarsi a sua volta nel più feroce degli assassini.

Prestamelo un’oretta, così rimetto a posto l’Italia.
In realtà, ciò che l’autore ci sta ponendo è una domanda precisa: “Cosa faresti TU se ti ritrovassi col potere di uccidere chiunque?”
Una premessa potente. Chiunque nel corso della propria vita avrà sognato almeno una volta di togliere la vita a qualcun altro, vuoi per rabbia, per vendetta, per invidia, per senso di giustizia o per semplice calcolo. E se ci fosse modo per soddisfare questo desiderio ed essere sicuri di farla franca, e nemmeno sporcarsi le mani? Può sembrare mostruoso, eppure perfino la persona più buona del mondo sarebbe tentata dall’idea di uccidere un dittatore per fermare lo sterminio di una popolazione. Ma con questo gesto penserebbe di perdere la propria anima? E se capitasse poi un altro dittatore, e un altro ancora? E se per aiutare la gente si dovessero uccidere innumerevoli uomini malvagi? E se per assicurare la pace non ci fosse altro modo? Dov’è il confine, quella sottile linea rossa che separa il bene dal male? Il conflitto morale proposto dal protagonista diventa proprio di ognuno di noi, è una freccia nel cuore. Questo ha segnato il successo di uno dei più popolari manga e anime della storia dell’animazione giapponese.
7. Coerenza
Rendere coerente un personaggio significa non dare su di lui informazioni contraddittorie. Un personaggio insicuro dovrebbe rimanere insicuro sia di fronte a scelte piccole che a scelte di grande importanza, e non può comportarsi improvvisamente come una persona decisa. Naturalmente, il carattere di un personaggio può cambiare nel corso di una storia, ma ciò deve avvenire gradualmente, come frutto di un processo che mette in discussione le basi del suo essere. Una persona cinica e fredda può essere cambiata da un grande amore, così come un generoso può diventare cinico se gliene capitano di tutti i colori. Cambiamenti simili sono perfettamente leciti (anzi, desiderabili) se giustificati nell’economia della storia, l’importante è che il lettore possa rendersi conto di questa evoluzione. Diverso è il caso in cui un personaggio mostra un volto diverso dalla sua reale personalità, qui lo scrittore deve domandarsi quanto bene sta fingendo e tenere presente che indossa una maschera. Se un personaggio si mostra gentile ma è crudele nel suo intimo, probabilmente non sarà capace di mostrare vera compassione se messo di fronte a una situazione che richiede altruismo.

Per rendere i personaggi coerenti con se stessi, siate consapevoli di come sono nel loro intimo.
La coerenza va esercitata in modo ancora più severo nei dialoghi, in riferimento a quella che è la voce propria. Un personaggio educato e intelligente difficilmente si concederà al turpiloquio perfino se viene provocato, piuttosto preferirà reagire agli insulti con insinuazioni più sottili che smontano il discorso del suo interlocutore.
8. Interazione
Il valore di un personaggio può nascere anche dal suo rapporto con gli altri personaggi che lo circondano. Spesso questo ruolo di contrasto è ricoperto dall’antagonista. Difficile pensare a Sherlock Holmes senza evocare l’immagine del suo arcinemico Moriarty, al Capitano Achab senza Moby Dick, a He-Man senza Skeletor. L’antagonista è il riflesso del protagonista, la sua nemesi: in esso il protagonista ritrova se stesso, ma ribaltato. Mettendolo alla prova, l’antagonista fornisce al protagonista la sfida, il conflitto, la motivazione e contribuisce a renderlo un personaggio memorabile.

Vai. Io prendo Skeletor.
Altrettanto importanti possono essere i comprimari, in particolare le spalle del protagonista. Un rapporto che può essere paritario o subordinato. Gianni e Pinotto, Stanlio e Ollio, sono esempi di accoppiate che formano un unico personaggio; questi personaggi hanno senso solo insieme, perché solo dal loro contrasto nasce l’armonia.

Stanlio e Ollio
Batman e Robin sono invece un esempio di accoppiata in cui un personaggio è subordinato all’altro. Qui il personaggio secondario diventa importante come cardine attorno al quale si sposta il baricentro dell’eroe, il rapporto che si instaura finisce per caratterizzarli entrambi.

Il Dinamico Duo. Naturalmente oggetto di ridicole accuse di omosessualità. Chissà poi perché…
Nelle storie in cui il protagonista è un gruppo di personaggi le dinamiche divengono più complesse. Qui all’autore è richiesta una maggiore abilità, nel dare un ruolo a tutti i personaggi, che devono avere ciascuno la propria caratterizzazione e fare in modo che essa contrasti in qualche modo con quella degli altri membri del gruppo. Questo argomento, però, è piuttosto vasto e meriterebbe un articolo approfondito che magari realizzerò in futuro.
Ecco alcuni link di articoli a cui fare riferimento per approfondire che mi hanno fatto da fonti:
L’ha ribloggato su Angelo Azzurro.
Bah, io la trovo una lista di una banalità che rasenta la nausea.
Come d’altronde certa narrativa scritta con lo stampino.
Ecco un’altra banalità: chi crede di sapere già tutto non ha molte prospettive nella vita (se si è svegli alle cinque del mattino solo per trollare, in anonimo poi, lasciamo perdere). Bye 😉
Apprezzo molto questo articolo e condivido pienamente! 🙂
Grazie! Ho dato un’occhiata al tuo blog, se avessi voglia di recensire anche il mio libro lo considererei un onore. Ciao 🙂
Al momento non posso, sto leggendo altri libri e poi ho troppi libri da leggere ancora, ho una lista incredibile e alcuni saranno davvero lunghi… ti faccio un nome a caso: “alla ricerca del tempo perduto”. Voglio leggermelo tutto, e quando finalmente lo leggerò non potrò proprio dedicarmi ad altro 😉 Vedrò poi quando potrò 😀
Ok fa nulla, comunque se in futuro puoi, fammi un fischio! Ciao! 🙂
Mi trovi particolarmente d’accordo con il fatto che i personaggi sono come degli attori e l’autore altri non è che il regista. Il paragone calza a pennello e sintetizza in poche parole tutte le altre regole.
Bella la citazione de Il Segreto del Nimh, mi hai fatto ricordare come da bambino avrò consumato la videocassetta di quel cartone animato.
Allora ti piacerà il mio nuovo romanzo, Gli Ultimi Draghi… :3 topi, topi intelligenti, perdiana!
Grazie mi sarà molto utile!! 🙂
Che meraviglia! Una vera mini-bibbia per gli aspiranti scrittori. Con un intero capitolo sulla benedetta *coerenza*, mi sono commossa! 😀
Felice di essere stato utile 😀
Ottimo articolo, consigli utili, condiviso 😉